Tante sentenze, ma poche certezze, sulla tassazione dei Ctd
- Nonostante le pronunce della Corte Costituzionale, della Corte di Giustizia e adesso della Cassazione, ci sono ancora dei nodi da sciogliere nella vicenda della tassazione dei Ctd e dei bookmaker
- Nessun giudice ha applicato la norma che impone a chi non ha la concessione di versare il triplo del prelievo rispetto a chi opera seguendo le regole
- La normativa italiana prevede che i Centri debbano versare l’intera tassa, e poi regolino i conti con la compagnia madre. Resta però da stabilire cosa succede quando il Ctd non ha più rapporti con la compagnia madre
Le ordinanze emesse dalla Cassazione nei confronti di StanleyBet nelle scorse settimane accendono nuovamente i riflettori sulla tassazione dei bookmaker non autorizzati, ma ci sono diversi aspetti della normativa italiana ancora da chiarire. E a complicare le cose c’è il fatto che su una norma, quella che impone a chi non ha concessione di versare un’imposta triplicata rispetto agli operatori legali, non sono mai state emesse delle sentenze. E con ogni probabilità, si tratta della norma più controversa, visto che rischia di avere ripercussioni pesantissime su alcuni Ctd.
L’evoluzione della norma è stata lunga e laboriosa, sostanzialmente si è pensato di utilizzare la disciplina del 1998 – che riguardava la tassazione dei concessionari – per colpire gli operatori non autorizzati. Il problema però è che questi soggetti non hanno alcuna sede o bene in Italia, quindi l’Erario non aveva alcuna possibilità di ottenere il pagamento. Con una norma del 2010, quindi, il Legislatore ha pensato di far ricadere l’obbligo anche sui Ctd, poi ricevitorie e compagnia madre avrebbero trovato il modo di regolarsi tra di loro. Nel 2105 infine è arrivata la norma che triplica la tassazione per chi non ha la concessione. Circa un anno dopo poi, il Legislatore ha reso più vantaggiosa la disciplina per i concessionari – ha disposto che come base imponibile si prendesse in considerazione il margine e non più la raccolta – ma non ha adottato alcuna modifica per gli operatori paralleli. E questo chiaramente li ha resi ancor meno competitivi.
I dubbi sulla normativa
Nel corso degli anni sono sorti diversi dubbi sulla legittimità dell’impianto, e alcune norme sono finite di fronte alla Corte di Giustizia Europea, o di fronte alla Corte Costituzionale. I giudici comunitari ad esempio hanno riconosciuto che l’Italia ha il diritto di tassare chiunque opera all’interno del Paese, con o senza concessione, e che non sia discriminatorio tassare sul margine gli operatori autorizzati e sulla raccolta quelli paralleli. La Corte Costituzionale invece ha affermato che lo Stato possa chiedere anche ai Ctd di versare il dovuto, ma solo dal 2011 in poi. Perché solo con la nuova normativa, per le ricevitorie e compagnie madri è sorta l’esigenza di modificare i rapporti contrattuali. In altre parole, fino a quel momento, il Ctd non sapeva che sarebbe stato chiamato a pagare l’imposta al posto del bookmaker, e quindi non aveva alcun motivo per chiedere una clausola che gli consentisse di rivalersi sulla compagnia madre.
La Cassazione nelle scorse settimane ha emesso una serie di ordinanze – al momento ce ne sono almeno una quarantina, e probabilmente il numero è destinato a crescere – applicando la normativa italiana a dei casi che si potrebbero definire canonici. Di conseguenza, le pronunce “ripercorrono abbastanza fedelmente le sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia” commenta a SlotJava, l’avvocato Vincenzo Matera, esperto in materia di Ctd. Ora, finché il Ctd e il bookmaker sono ancora legati non dovrebbe sorgere nessun problema. Quello che si può dire per quanto riguarda la StanleyBet, è che in due o tre casi la Cassazione ha dichiarato cessata la materia del contendere, perché il bookmaker aveva saldato gli avvisi di accertamento.
Il problema dei Ctd rimasti orfani
Resta però da capire cosa me sarà dei Ctd negli altri casi. “Le Corti Supreme ancora non hanno stabilito cosa succeda al centro che non ha più un contratto con il bookmaker e quindi non può più trattenere i soldi della raccolta per pagare l’imposta unica” sintetizza ancora Matera. Non si tratta di casi sporadici: tra bookmaker che non esistono più e Ctd che hanno interrotto l’attività, probabilmente la maggior parte delle ricevitorie non ha più rapporti con la compagnia madre. Se si applica comunque la norma italiana, il Fisco bussa alla porta del centro, che così finisce per pagare la tassa al posto del bookmaker. Perché anche se la ricevitoria non esiste più, il titolare del centro resta in Italia e può essere chiamato a rispondere per l’attività che ha svolto fino a quando non scatta la prescrizione.
A complicare le cose c’è poi la norma che triplica il prelievo. Perché in questo caso il titolare del centro ha guadagnato delle somme che non si avvicinano minimamente a quelle che contesta il Fisco. Per la sua attività ha infatti percepito un aggio, una commissione sulle giocate raccolte, in base alla normativa italiana invece viene tassato come se fosse egli stesso il bookmaker. E, tra imposta e sanzioni, l’Agenzia delle Entrate può arrivare a presentargli un conto da centinaia di migliaia di euro per ogni anno di attività. A prescindere da come la si pensi – che i Ctd siano legali o meno – resta il fatto che queste somme non sono affatto commisurate ai guadagni che si è messo in tasca il gestore del centro.
Ora, su questi casi non c’è ancora nessuna sentenza, chiaramente i titolari dei centri hanno impugnato gli avvisi di accertamento, ma i giudizi pendono in primo grado di fronte alle Commissioni Tributarie e le prime sentenze dovrebbero arrivare nel giro di un anno. “Ovviamente eccepiamo che il centro non può più scaricare la tassa sul bookmaker” spiega ancora Matera, “è un dato che certamente le Commissioni Tributarie tengono in considerazione. E sospendono l’esecutorietà degli avvisi di accertamento. Dico che sospendono, perché le Commissioni Tributarie finora si sono dimostrate molto caute, sanno che la giurisprudenza è cambiata molto negli ultimi tempi e quindi hanno atteso le varie pronunce” che sono poi arrivate appunto dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Giustizia. I centri adesso puntano a ottenere un nuovo rinvio alla Corte Costituzionale per sostenere che in simili casi viene violato il principio della capacità contributiva, ma non è una soluzione immediata.
C’è oltretutto un aspetto che complica il percorso, lo mette in evidenza lo stesso Matera: i centri devono essere in grado di dimostrare quanto hanno veramente percepito per la loro attività, ovvero che il grosso delle scommesse che hanno raccolto sono poi sono state trasferite alla compagnia madre, o state usate per pagare le vincite ai giocatori. E, “molto spesso i centri non possono farlo. In quei tempi nella maggior parte dei casi i trasferimenti di denaro venivano fatti a mano. Molte attività non hanno una documentazione contabile completa per dimostrare i pagamenti”.
Ammesso e non concesso che il centro riesca in qualche modo a saldare gli avvisi di accertamento, non ha poi nessuna possibilità di rifarsi sulla compagnia madre. Una buona parte dei bookmaker esteri non esiste più, sono stati spazzati via dalle inchieste giudiziarie che si sono susseguite nel corso degli anni. Ma anche qualora esistano ancora, “i centri dovrebbero sobbarcarsi delle spese esorbitanti per intentare una causa all’estero. Tempo fa si pensava di organizzare una class-action, ma poi il progetto è naufragato” conclude Matera.