Stop pubblicità, Sisal deve restituire i soldi non spesi
- Con il divieto di pubblicità, la concessionaria del SuperEnalotto non ha più potuto effettuare le campagne pubblicitarie previste dalla concessione
- Sisal e Agenzia delle Dogane e dei Monopoli si sono disputate i soldi che servivano a finanziare le campagne
- Alla fine la controversia è arrivata al Tar che ha dato ragione a ADM: quei soldi sono una parte di gettito
- Sisal però avrebbe potuto finanziare alcune campagne informative che restano lecite
I soldi che Sisal non può investire in pubblicità per spingere le vendite del SuperEnalotto spettano allo Stato, la concessionaria quindi li deve restituire. Lo afferma il Tar Lazio chiudendo – almeno per il momento, visto che c’è sempre la possibilità di intentare appello – una lite da 24,3 milioni di euro. Ma viene da pensare che la cifra finale sarà più alta: il periodo preso in considerazione dai giudici va da luglio 2018 a maggio 2020. Sisal probabilmente sarà invitata a restituire tutti i soldi che non ha investito fino al 1 dicembre 2021, quando finalmente ha preso il via la nuova concessione.
Al di là del tesoretto in ballo, comunque, c’è soprattutto il fatto che la controversia sia abbastanza paradossale. Sisal infatti è tenuta a investire ogni anno una parte della raccolta del gioco in pubblicità: lo prevede una norma della stessa concessione. E lo stesso dovrebbero fare Lottomatica IGT per i Gratta e Vinci, e LottoItalia per il Lotto. Il problema però è che la pubblicità del gioco è stata vietata dal decreto Dignità del 2018.
L’impegno contenuto nella vecchia concessione
Al centro della vicenda finita di fronte al Tar, c’è la vecchia concessione del SuperEnalotto, quella che è partita nel 2009 e che sarebbe dovuta durare 9 anni, quindi fino al 2018. La compagnia milanese però ha beneficiato di due proroghe. La prima è arrivata appunto tre anni fa, quando l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha constatato che non c’erano i tempi per indire una nuova gara. La seconda invece è del 2020, e è dovuto all’epidemia di Covid. La concessione così è durata circa 3 anni in più del dovuto e è arrivata praticamente fino ai giorni nostri.
Quella concessione prevedeva che ogni anno l’operatore investisse una parte della raccolta in pubblicità. L’ammontare esatto lo ha stabilito la stessa Sisal nell’offerta economica: l’1,82% della raccolta effettuata nell’anno precedente. Ma come detto, nel 2018 l’allora governo giallo-verde ha varato il decreto Dignità che – tra le varie previsioni – ha anche vietato qualunque forma di pubblicità del gioco. L’impegno che aveva assunto Sisal dieci anni prima a questo punto non poteva più essere rispettato. La nuova concessione ovviamente si è adeguata al divieto e non prevede nessun obbligo di effettuare investimenti pubblicitari.
Per Sisal quei soldi fanno parte dell’offerta economica, per il Tar è una fetta di gettito
Concessionaria e Amministrazione hanno quindi preso a litigare per decidere che ne sarebbe stato di quelle risorse che non potevano più essere investite. Sisal ha provato a sostenere che quei soldi le spettavano, visto che non venivano determinati in maniera fissa dal bando. Erano invece i candidati a stabilire la percentuale, al pari di quanto facevano con l’aggio che intendevano incassare per la gestione del gioco. In sostanza si trattava di due elementi dell’offerta economica. Nel caso di Sisal stiamo parlando del 3,73% per l’aggio, e la compagnia si impegnava a investire circa la metà del compenso (appunto l’1,82%) per fare pubblicità.
“Si tratta invece di parte del gettito del gioco che il concessionario ha riscosso presso il pubblico nella sua qualità di agente contabile per conto e nell’interesse” dello Stato, ribatte invece il Tar Lazio. “Il che conduce ad affermare che, in caso di mancato investimento della somma vincolata, la stessa andrà restituita all’Erario in quanto parte del gettito del gioco”.
Ma ci sono spazi residui per la pubblicità
I giudici poi concordano con i Monopoli sul fatto che Sisal avrebbe comunque potuto investire quei soldi in altro modo. Del resto anche l’AgCom – quando ha scritto le linee guida per definire l’esatta portata del divieto – non ha vietato qualunque forma di comunicazione commerciale. Solo la pubblicità vera e propria – quella “volta a ottenere un ritorno economico per il concessionario” – viene vietata. Ma ci sono anche degli “scopi tutt’ora consentiti”, ovvero le “compagne di comunicazione e di informazione sulle modalità del gioco in favore del pubblico”. Certo, Sisal si sarebbe dovuta impegnare veramente a fondo per spendere oltre 24 milioni di euro.