La Cassazione chiede ai Ctd le tasse sulle scommesse
- La Cassazione conferma che anche i bookmaker senza concessione devono pagare le tasse sulle scommesse raccolte
- L’obbligo ricade anche sui Ctd che hanno trasmesso le giocare, ma solo a partire dal 2011
- Stanley incassa il colpo, ma promette di proseguire la battaglia legale
- Ancora non ci sono sentenze però sulla norma del 2015, quella che obbliga chi non ha la concessione a versare il triplo della raccolta dei legali
La Cassazione pubblica una cascata di ordinanze – sono oltre venti al momento – con cui impone alla StanleyBet, e in alcuni casi anche alle singole ricevitorie, di pagare le tasse sulle scommesse che hanno raccolto. Queste pronunce dovrebbero mettere la parola “fine” a una querelle giudiziaria che va avanti da anni in realtà però la vicenda sembra ben lontana dalla conclusione, e non solo perché il bookmaker anglo-maltese ha già promesso di continuare la battaglia. Lo scontro va avanti da anni, e in questo tempo alcuni aspetti della normativa italiana sono finiti di fronte alla Corte Costituzionale, altri sono passati al vaglio della Corte di Giustizia Europea. Fin qui, bisogna riconoscere che il principio in base al quale anche i bookmaker senza devono pagare le tasse ha retto. La normativa italiana tuttavia mostra ancora delle zone d’ombra. Anche perché le Supreme Corti italiane e la CGE hanno preso in esame dei casi piuttosto vecchi, e ancora non era entrata in vigore la norma che impone di versare un’imposta triplicata rispetto a quella dei normali concessionari.
Come è cambiata la normativa italiana
La disciplina italiana nel corso degli anni ha infatti subito una serie di modifiche, probabilmente anche perché la tassazione fiscale si è dimostrata molto più efficace di processi penali, sequestri e sanzioni amministrative. Alla fine il principio è abbastanza semplice: se proprio non si riesce a eliminare gli operatori senza concessione, tanto vale rendere il loro business redditizio. E in questo modo ci guadagna anche lo Stato. Il sistema si regge su una norma del 1998, in base alla quale devono versare l’imposta unica “coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”. Letta così sembra che i bookmaker paralleli dovessero pagare le tasse fin dall’inizio. Non bisogna dimenticare però che la norma è stata scritta nel 1998: gli operatori senza concessione già c’erano, ma non erano un fenomeno così vasto come sarebbero diventati in seguito. E poi, nessuno allora si sognava di dire che un bookmaker estero avrebbe dovuto pagare le tasse. Era pur sempre un operatore illegale. Quella norma inizialmente si rivolgeva al CONI, all’UNIRE e, appunto, ai neonati concessionari. Solo diversi anni dopo ci si rese conto che poteva essere usata anche contro le compagnie non autorizzate.
Il problema maggiore è che i bookmaker paralleli hanno sede all’estero, e quindi è praticamente impossibile chiedergli di pagare anche un euro di tasse. Così nel 2010 si è cercato di aggirare l’ostacolo con una norma interpretativa: il pagamento dell’imposta può essere chiesto non solo al bookmaker parallelo, ma anche al titolare del Ctd che effettua la raccolta. E che si trova in Italia. Poi sarà lui a regolare i conti con la compagnia madre. La mazzata però lo Stato l’ha assestata solo con la legge di Stabilità del 2015, in quel caso ha previsto che gli operatori senza concessione dovessero pagare un’imposta triplicata rispetto a quella dei concessionari.
Le sentenze
Ora, la Corte Costituzionale ha dato solo qualche limatura all’impianto, la sentenza è del 2018. E nello stesso solco si è mossa anche la Corte di Cassazione, con le ordinanze pubblicate in questi giorni. In sostanza, i giudici hanno detto che è giusto chiedere ai bookmaker paralleli di pagare l’imposta, e questo vale anche perle scommesse che hanno raccolto prima del 2010. Hanno però ammesso che fino a quel momento la normativa non era affatto chiara, e pertanto non si possono sanzionare gli operatori esteri che non hanno versato il dovuto. I singoli Ctd, invece, possono essere chiamati in causa solo a partire dal 2011. E questo perché, spiega la Cassazione, una volta definito il quadro, le ricevitorie hanno potuto rinegoziare gli accordi con il bookmaker. In questo modo, se lo Stato avesse chiesto loro di pagare l’imposta sulle scommesse, avrebbero potuto rifarsi sulla compagnia madre. Fino a quel momento invece non potevano “procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente”.
I casi arrivati alla Corte Costituzionale o alla Cassazione riguardano grossomodo il periodo che va dal 2008 al 2012, ovvero degli anni in cui non era ancora stata varata la norma che triplica il prelievo. Secondo quanto apprende SlotJava, diversi Ctd – non legati alla StanleyBet – hanno ricevuto i primi avvisi di accertamento. Le somme in questi casi si fanno consistenti, e i Ctd hanno chiaramente hanno impugnato i provvedimenti. Non c’è però ancora nessuna sentenza, secondo gli avvocati di settore bisognerà attendere circa un anno per vedere se le Commissioni Tributarie confermeranno tutto, o magari solleveranno altri dubbi di costituzionalità. Anche perché molti dei soggetti che hanno ricevuto gli avvisi di accertamento hanno chiuso il Ctd, non raccolgono più scommesse e di conseguenza non hanno più alcuna possibilità di scaricare l’imposta sul bookmaker estero. È un quadro molto diverso da quello preso in esame dalla Cassazione.
La reazione di Stanley
Ma tornando alle pronunce della Cassazione, Stanley ha incassato il colpo. C’è anche da dire che in alcuni casi la compagnia ha persino già iniziato a pagare l’imposta: in un paio di ordinanze la Suprema Corte dichiara cessata la materia del contendere perché nel frattempo gli avvisi di accertamento sono stati saldati. “Una decisione della Corte di Cassazione va accettata anche quando è negativa” commenta in una nota Giovanni Garrisi, il Ceo di StanleyBet. Ma poi ribatte subito “Una cosa però deve essere chiara: il contenzioso sul passato continuerà. Reagiremo all’ordinanza pubblicata, a tutela dei nostri diritti nei modi consentiti dall’ordinamento interno ed europeo”. E ancora, “Continueremo ad impegnarci per far comprendere in tutte le sedi giudiziarie di tutti i gradi le ragioni del nostro dissenso dalla recente ordinanza della Cassazione, che lascia aperte vaste aree di incertezza e non affronta diverse questioni costituzionali e di diritto europeo”. Peraltro il bookmaker ipotizza anche un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo perché la Cassazione ha discusso le cause in camera di consiglio e non in udienza pubblica. In questo modo non ha consentito “il contraddittorio reale con il Procuratore Generale ed il Collegio giudicante” su una questione tanto controversa.
Ma poi Garrisi sottolinea che fin dal 2016 “Lettere di disponibilità al pagamento dell’imposta unica in Italia sono state inviate dalla Stanley ad ADM”. E che il tentativo di trovare una soluzione alternativa prosegue anche adesso: “Stiamo cercando, nella nostra interlocuzione con ADM, di trovare soluzioni per il pagamento dell’imposta unica sulle scommesse per il futuro”. Il bookmaker anglo-maltese, anzi, a inizio marzo ha avanzato “la proposta di iniziare a pagare l’imposta unica in Italia con decorrenza retroattiva”.