Il gioco italiano, tra eccellenza e limiti all’export
- SlotJava torna a occuparsi delle compagnie italiane che si stanno espandendo all’estero con un’intervista a Giovanni Carboni dell’Egla
- Le compagnie italiane sono fortemente legate all’offerta fisica, pochissime operano solo online, sebbene poi abbiano raggiunto livelli di eccellenza anche in questo settore
- Il mercato del gioco a terra in ogni Paese assume delle caratteristiche specifiche, il modo migliore per adattarsi resta quello di acquisire un operatore locale
- La rigida regolamentazione italiana a volte rappresenta un freno più che un punto di forza. Anche se non sempre è sostenuta da sanzioni onerose
SlotJava prosegue il suo viaggio sulle compagnie italiane che hanno deciso di espandersi all’estero. Nella prima parte si era focalizzata soprattutto sul mercato a terra, e in particolare quello delle scommesse, adesso invece si concentra sull’online. Ne ha discusso con Giovanni Carboni, fondatore dell’EGLA e uno dei massimi esperti del settore.
Gli operatori italiani fino a poco tempo fa sono stati piuttosto restii a espandersi all’estero e solo adesso hanno deciso di espandersi anche in altri mercati. Come mai?
Si deve considerare che solo il mercato del gioco online ha un connotato fortemente internazionale, non quello terrestre. Gli operatori internazionali online hanno avuto una vocazione internazionale fino dalla nascita, avviando l’offerta dot.com ormai venti anni fa. Gli operatori italiani online nascono per diversificazione dal business terrestre e, comunque, hanno un radicamento territoriale, molto legato alle specificità locali e poco vocato all’internazionalità.
Ma nel corso del tempo, la nostra offerta non si è evoluta, in un certo senso non si è svincolata dal terrestre?
L’offerta degli operatori italiani è tuttora largamente legata ad un marketing territoriale, realizzato attraverso strategie multichannel e di commercializzazione su reti di PDV, più di quanto possa apparire. L’analisi dei dati di mercato mostra che gli operatori online puri con DNA italiano hanno una quota di mercato marginale.
C’è da dire anche però che il nostro è probabilmente il mercato che ha la regolamentazione più stringente al mondo. L’esperienza maturata da noi non dovrebbe rappresentare una marcia in più per chi poi decide di andare all’estero?
Il mercato italiano impone gli standard più stringenti al mondo dal punto di vista regolamentare, con un forte impatto tecnologico. Ma questo non è un vantaggio, è invece un ostacolo, perché i nostri standard, ad esempio quelli del reporting cioè dei protocolli e quelli della certificazione, sono diversi da quelli della generalità delle altre legislazioni.
Le opportunità all’estero non sono mancate, ma non sempre i nostri operatori le hanno volute cogliere. Nessuno ad esempio ha pensato alla Francia o alla Gran Bretagna. Solo di recente Sisal è entrata in Spagna, Snaitech adesso gestirà Happybet in Germania. Lottomatica/IGT è l’unica a essere arrivata negli USA (ma ormai è americana…) anche se offre soprattutto soluzioni tecnologiche. Quali sono gli scogli principali per ogni Paese?
La Francia è un mercato molto chiuso. Il Regno Unito è la patria del gioco online ed è perciò difficilissimo insegnarle qualcosa. Sono in generale difficili per noi i mercati anglosassoni e del Nord Europa. Sono più facili i mercati del mediterraneo o il Sud America, che da poco sono presenti o solo ora si aprono al gioco on line. Credo che la Germania possa costituire una opportunità. Comunque, salvo casi particolari e successi episodici, è necessario avere maturato una cultura e una mentalità internazionale per avere successo in questo settore al di fuori dei propri confini. Le realtà menzionate, Sisal e Snai, oltre a Lottomatica, e pochissimi altri, oggi hanno le carte in regola per farcela.
Per quanto riguarda i singoli prodotti, quali sono le difficoltà principali nell’andare all’estero? Nel caso del gioco online in particolare l’offerta è piuttosto standardizzata, è un freno?
La tecnologia non è un problema, visto che i provider non mancano, anche se naturalmente si rinuncia alla distintività di prodotto. Nei giochi di casino la fedeltà del giocatore è molto volatile rispetto a quanto avviene in altri segmenti e questo rende l’ingresso in un nuovo mercato più facile. Ogni prodotto richiede competenze specifiche, compresi i giochi di casinò. Ma le scommesse sono un segmento più impegnativo da questo punto di vista, che richiede competenze difficili da acquisire, di prodotto e di mercato, anche per la maggiore fedeltà dei giocatori. Questo peraltro vale in particolar modo per l’Italia: infatti la penetrazione nelle scommesse degli operatori che non hanno DNA italiano, a prescindere dalla sede legale, è piuttosto bassa, con una sola eccezione.
Sorprende un po’ che le nostre compagnie stiano ottenendo risultati di prim’ordine nel B2B e nei sistemi di gestione. Non solo Lottomatica/IGT, c’è anche Sisal che adesso intende addirittura competere per la National Lottery inglese. Sono caso isolati?
Alcuni dei nostri operatori, quelli di maggiore dimensione e con maggiore capacità di investimento oggi possono credibilmente affrontare molti mercati internazionali. È comunque fondamentale avere competenza specifica del mercato, quindi soprattutto nei mercati già sviluppati mi sembra quasi sempre consigliabile l’ingresso attraverso l’acquisizione di operatori già presenti sul mercato.
Il mercato italiano al contrario si fa sempre più stringente, ci sono le leggi regionali, il divieto di pubblicità, la tassazione che sale in continuazione. Guardare verso altri mercati diventerà una necessità?
Il mercato italiano è molto difficile ed oneroso dal punto di vista regolamentare. Soffre dei problemi che affliggono in generale il settore pubblico italiano. Si punta su regole e divieti sempre più stringenti, basati su modelli che ci allontanano dagli altri Paesi UE, sui quali poi l’azione di enforcement è scarsa e la compliance è lasciata alla buona volontà, che in genere dipende dal singolo soggetto.
In sostanza il problema della regolamentazione eccessiva riguarda anche altri settori produttivi italiani, ma poi le compagnie che vi operano riescono a assumere una dimensione internazionale. Alla fine il problema dell’eccessiva regolamentazione è relativo…
L’Itala è un mercato interessante, le regole e gli oneri soffocanti, non accompagnati in genere da sanzioni inesorabili, non sono un motivo sufficiente a decidere di abbandonare. Resta fermo che per gli operatori che ne sono capaci è saggio perseguire nuove opportunità anche su altri mercati.