Gioco illegale, anche la Svezia prova a bloccare i pagamenti

Gioco illegale, anche la Svezia prova a bloccare i pagamenti

Economia

Ci risiamo. Un altro Paese prova a fermare il gioco online illegale chiedendo a banche e istituti finanziari di bloccare i pagamenti verso gli operatori senza licenza. Questa volta è il turno della Svezia che ha inserito una norma apposita nella nuova regolamentazione sul gioco che entrerà in vigore dal 1 luglio.

 

Peraltro, non si tratta di una novità assoluta per il Paese scandinavo. Già il precedente gambling act consentiva all’ente regolatore di bloccare i pagamenti non autorizzati. Lo Splinspektionen però non aveva mai usato questo potere, adducendo una serie di “problemi pratici”. Adesso si cerca di aggirare l’ostacolo coinvolgendo tutti quegli operatori coinvolti nel processo. Se sono loro a trasferire il denaro, sono anche in grado di interrompere il flusso.

 

Gli USA ci provano fin dal 2006

Detta così, suona un po’ come l’uovo di Colombo. Se non è possibile sanzionare un operatore di gioco che magari si trova dall’altra arte del mondo, basta chiudere i rubinetti. Ma se è così semplice, perché nessuno ci ha mai pensato fino ad ora? A dire la verità, ci hanno pensato in molti. Solo che nessuno c’è mai riuscito.

I primi tentativi li hanno fatti gli Stati Uniti, ai tempi dell’UIGEA, la legge federale che vietava qualunque forma di gioco online. Stiamo parlando quindi di quasi venti anni fa. All’epoca le banche cercarono di spiegare che la norma imponeva una serie di controlli onerosissimi che peraltro avrebbero completamente paralizzato le altre attività.

 

Come si attua – e come si aggira – il blocco

Il sistema statunitense si basa sul codice MCC, il merchant category code. In sostanza, per processare i trasferimenti di denaro, gli operatori economici vengono identificati con un codice numerico a seconda dell’attività che svolgono. Quello del gioco è 7995, ed è lo stesso in tutto il mondo. Quindi di per sé non consente di capire se un operatore ha sede negli USA o in una qualunque altra parte del mondo. Senza contare che ci sono compagnie che magari hanno sede in Europa, ma hanno anche ottenuto una licenza negli Stati Uniti.

Visa, Mastercard e le altre compagnie che gestiscono carte di credito, all’epoca per semplificare i controlli, adottarono dei sottocodici. Ma il sistema si poteva aggirare facilmente. Per i malintenzionati, banalmente, bastava ottenere un codice differente, magari affermando che la loro attività principale non era il gioco, ma la gestione di alberghi…

La norma comunque è stata riproposta anche in epoca recente, quando il gioco è stato legalizzato. Il mercato illegale però si adeguato immediatamente, trovando degli stratagemmi per aggirare il divieto. A farne le spese, invece, sono stati soprattutto gli operatori legali. Nonostante siano in possesso di regolare licenza – soprattutto nei primi tempi – si sono visti bloccare circa la metà dei trasferimenti.

 

Le esperienze europee

Ci sono doversi tentativi anche in Europa. La Commissione aveva cercato di fare il punto nel 2019 con il report “Evaluation of regulatory tools for enforcing online gambling rules and channelling demand towards controlled offers”. All’epoca gli Stati membri che avevano adottato una norma simile erano 17, solo 8 avevano anche provato a metterla in pratica: Grecia, Lettonia, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Romani e Slovenia.

 

Nel corso degli anni si è cercato di mettere a punto soluzioni diverse rispetto al sistema degli MCC, ma il risultato è lo stesso. Quasi tutti i Paesi hanno ammesso che il blocco non abbia prodotto effetti visibili. Per Ungheria e Repubblica Ceca ad esempio è un mero deterrente, l’Estonia riconosce che può essere aggirato facilmente.

 

In Italia ci sono ben due norme…

Anche l’Italia ha una lunga storia da raccontare. Una prima norma è stata varata nel 2011, sostanzialmente imponeva agli istituti di credito di segnalare a ADM le operazioni sospette, ma non di bloccarle. Non che cambiasse molto. Il sottosegretario al Mef Pier Paolo Baretta – rispondendo a un’interrogazione parlamentare – qualche anno dopo ammise che quella norma era inapplicabile.

 

Anche la nostra ABI infatti aveva rilevato delle “difficoltà oggettive” dovute “alla impossibilità/difficoltà di conoscere la identità” di chi opera illegalmente. Due anni e soprattutto due governi dopo, però, qualcuno ha deciso di fare un secondo tentativo.

 

La norma è contenuta nel decreto fiscale del 2019, e in questo caso chiede di bloccare le transazioni che coinvolgono gli operatori di gioco illegali. Le sanzioni sono salatissime, vanno da 300mila a 1,3 milioni di euro per ogni violazione accertata. La norma però chiede al MEF di definire le modalità pratiche per attuare la norma, in questi quattro anni il Ministero non si è ancora mosso. Come peraltro ha certificato di recente la Camera dei Deputati

Gioel Rigido