Germania: è boom dipendenze, ma i conti non tornano
Germania, il Ministero della Sanità presenta una ricerca – allarmante – sulla diffusione del gioco patologico, ma le associazioni di settore e anche le opposizioni insorgono. E contestano l’attendibilità del report, arrivano persino a dire che sia stato confezionato per giustificare “eccessi di interventismo e divieti ideologici”, come dice Simone Borchardt, esperta di dipendenze del CDU.
A ricostruire la vicenda ci pensa la DSWV, l’associazione tedesca che riunisce gli operatori di gioco. Tutto ruota intorno all’Atlante del Gioco che il Ministero ha pubblicato a novembre scorso. Il dato più eclatante è che in Germania ci sarebbero 1,3 milioni di giocatori patologici, nella precedente rilevazione – effettuata nel 2019, quindi appena quattro anni prima – se ne contavano meno di un terzo, ovvero 400mila persone. Addirittura peggiore l’impennata che si sarebbe registrata nel caso dei giocatori con comportamenti a rischio, attualmente sarebbero l’8% della popolazione tra i 18 e i 70 anni, quattro anni prima erano lo 0,7%. Meno di un decimo.
Si rischia di perdere il controllo sul fenomeno
Gli stessi ricercatori si sono affrettati a chiarire che nel caso dell’Atlante del Gioco è stata seguita una metodologia differente, in sostanza quindi il confronto tra i dati del 2019 e quelli del 2023 non è attendibile. Ma con tutti i margini d’errore del caso, resta il fatto che ci muoviamo su due grandezze differenti. Ed è comprensibile che i nuovi dati abbiano suscitato un forte allarme.
Secondo il ministro della Giustizia Marco Buschmann, si rischia di “perdere il controllo” sul fenomeno. Il commissario per le dipendenze Burkhard Blienert invece ha chiesto di adottare subito delle misure per contrastare la diffusione del gioco, e ad esempio ha proposto di vietare la raccolta delle scommesse prima delle 11 di sera.
I dubbi sulla ricerca
Ma c’è anche chi ha puntato il dito contro i ricercatori, e ha trovato diversi aspetti poco convincenti. Fino al 2019, a effettuare i sondaggi era l’Istituto Federale per l’Educazione alla Salute, soggetto che però sta per essere smantellato per volere del ministro della Salute Karl Lauterbach. L’Atlante del Gioco è stato così curato dall’Istituto di Amburgo per le Dipendenze e le Ricerche sulle Tossicodipendenze, e dall’Università di Brema.
Il commissario Blienert aveva annunciato a fine 2022 che sarebbe stato l’Istituto di Amburgo a redigere il nuovo Atlante. Per assegnare la ricerca tuttavia non si è svolta nessuna gara, perché – come poi ha dovuto spiegare il Ministero della Salute – si è optato per un’assegnazione diretta.
Metodo giusto, ma scelta sbagliata?
Il Ministero non ha chiarito perché abbia scelto proprio quei due istituti. Cosa che non è piaciuta alla stampa: a capo del dipartimento competente dell’Università di Brema c’è un ricercatore che già avrebbe ricevuto alcune commissioni in modo poco trasparente. Inoltre, le alternative non mancano: in Germania ci sono almeno altri dieci enti che portano avanti indagini del genere.
Va detto comunque che l’assegnazione diretta di per sé sarebbe del tutto lecita. Per la ricerca è stato stanziato un corrispettivo di 134mila euro, ovvero un importo al di sotto della soglia minima (140mila euro) per cui è necessario indire una competizione aperta. Quello che stupisce però è che i due soggetti avrebbero ottenuto i primi finanziamenti solo nell’agosto del 2023. Il che fa credere che abbiano lavorato all’Atlante in tempi record: circa tre mesi, visto che lo hanno presentato – appunto – a novembre.
L’indagine non è neutrale
“Il Ministero della Salute è spesso al centro di vicende dubbie” ha affondato ancora la Borchardt. “Tutto porta a credere che l’accordo per assegnare la ricerca fosse stato fatto prima di quanto crediamo. E questo lascia pensare anche che l’indagine non sia stata condotta in modo neutrale”.
Un aspetto su cui si è soffermata Katharina Schüller, statistica e fondatrice della società di consulenza Stat-Up. Schüller ha raccolto in un report di 140 pagine tutti i suoi dubbi su come sia stato formato il campione di soggetti utilizzati per la ricerca. E alla fine ha concluso che “l’Atlante non offre una base attendibile per l’analisi del fenomeno e per adottare interventi di carattere normativo“.