Dopo i prestiti, le banche bloccano anche i conti correnti
- La banche da tempo rifiutano i prestiti chiesti dalle agenzie di scommesse e dalle sale da gioco
- L’azzardo è contrario ai codici etici che hanno adottato negli ultimi anni
- Negli ultimi mesi hanno anche preso a chiudere i conti correnti, ma senza le sale non possono operare
Sono sempre di più le banche che hanno preso a chiudere i conti correnti delle agenzie di scommesse e delle sale da gioco; l’allarme è arrivato anche all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e alla politica. Gli operatori però non sembrano rendersi conto del pericolo, anche se i precedenti non lasciano presagire nulla di buono. Perché il problema non è come si comporta la singola banca – che, peraltro è un operatore privato e quindi ha piena libertà di decidere con chi vuole entrare in affari e con chi no – ma piuttosto se quel comportamento diventa generale, tanto che alla fine si traduce in un blocco. Che è quello che è successo con i finanziamenti, con le banche prima alla spicciolata, poi sempre più compatte, hanno preso a negare prestiti agli operatori del settore.
Il pasticcio dei finanziamenti del decreto Liquidità
Lo scontro si è riacceso qualche mese fa quando il Governo, in piena emergenza Covid-19, ha lanciato i finanziamenti iper-agevolati per le imprese che avevano subito un crollo di fatturato. Sale giochi, agenzie di scommesse e bingo ne avrebbero avuto bisogno come qualunque altra impresa; anzi forse anche di più, visto che nel loro caso, il loro lockdown è stato uno dei più lunghi, alla fine hanno attraversato quasi tre mesi di chiusura. In realtà, in quel caso, c’era anche un altro problema: il Governo aveva stilato una lista delle imprese che avrebbero potuto accedere a quei prestiti basandosi sui codici Ateco, e non aveva inserito quelli di agenzie di scommesse e sale da gioco. Qualcuno lì per lì ha battuto i pugni e ha chiesto al Ministero dell’Economia di eliminare la discriminazione, ma poi la protesta è stata soppiantata da quella contro i ritardi nelle riaperture.
Però viene anche da pensare che gli operatori del settore già sapevano che quei finanziamenti agevolati – per un motivo o per l’altro – non li avrebbero ottenuti facilmente. Da anni la maggioranza delle banche – non tutte, ma un numero decisamente cospicuo – si tira subito indietro ogni volta che un operatore del gioco chiede un prestito. Si sono viste sbattere le porte in faccia anche delle agenzie che hanno conti correnti aperti da anni – e su cui magari movimentano centinaia di migliaia, se non milioni di euro – e hanno dei bilanci perfettamente in regola. La motivazione era sempre la stessa, la banca ha deciso di non prestare più soldi alle imprese del settore, perché il gioco è contrario al codice etico che ha adottato.
Quello che scrivono le banche
Ora, controllando le varie dichiarazioni non finanziarie, in effetti qualche riserva sul gioco le banche ce l’hanno. Banca Popolare di Sondrio ad esempio ritiene nella dichiarazione dell’anno scorso scrive che potrebbe subire dei “rischi di natura reputazionale” se avesse dei “rapporti con clientela operante in settori sensibili” (es. settore armamenti, gioco d’azzardo)”. Ma ci sono anche un po’ di cose che alimentano i dubbi. Ubi Banca ad esempio (e magari non è la sola) ha adottato già da una decina di anni una direttiva interna dell’Area Crediti, non si tratta di un blocco totale, ma di un freno. Come emerge da una tabellina che la stessa banca riporta, il peso dei finanziamenti al settore del gioco sta progressivamente calando. Al contrario, però, nel caso delle armi l’esposizione sta crescendo, nonostante la UBI abbia adottato fin dal 2008 una Policy restrittiva che prevede “un rigoroso iter autorizzativo la prestazione di servizi bancari e finanziari”.
Credit Agricole non ha adottato un no categorico, ma segue una procedura speciale: pretende infatti il “consenso da parte del Servizio Normativa Antiriciclaggio” e la “valutazione degli organi deliberanti centrali”. Il gambling non è l’unico settore che segue questo iter, la schiera è piuttosto nutrita: “commercio di opere d’arte, energie rinnovabili, commercio e lavorazione diamanti, raccolta, trattamento e smaltimento di rifiuti pericolosi, e attività svolte da controparti quali ad esempio le ONLUS”. Ora, le società che operano nelle energie rinnovabili sono impegnate a salvare il mondo dai gas serra e dal surriscaldamento, mentre le Onlus solitamente sono organizzazioni di volontariato e enti filantropici. Dovrebbero perseguire finalità etiche di per sé, e invece qui finiscono nella lista dei soggetti da maneggiare con cautela. Il fatto è però che una serie di indagini giudiziarie hanno dimostrato che Onlus e energie rinnovabili siano state spesso utilizzate dalle mafie per reinvestire fondi neri o svolgere attività illegali. Insomma – come per gli altri settori nella lista – spesso non è facile scoprire chi tira le fila. Ma a questo punto viene il sospetto che il problema non sia solamente se l’attività è etica o meno, ma piuttosto quanto sia difficile effettuare i controlli. E sorge il dubbio che le banche facciano considerazioni simili anche quando hanno di fronte degli operatori del gioco.
Qualche istituto di credito sembra averlo ammesso in maniera più o meno esplicita, e ha tirato in ballo la normativa sul riciclaggio. A fine primavera, alcuni media hanno riportato la lettera che la Banca di Credito Cooperativo aveva inviato a un’agenzia di scommesse, in questo caso si trattava della chiusura del conto corrente. La banca spiegava che il Consiglio di amministrazione aveva approvato “delle nuove politiche in materia di antiriciclaggio ed adeguata verifica della clientela”. E aveva stabilito che “tra le attività ritenute a più alto rischio di riciclaggio ci sia la gestione di case da gioco, videolotteries e centri scommesse”.
La questione del riciclaggio
Va detto che una banca quando ha a che fare con un’agenzia di scommesse o una sala da gioco, si ritrova con una bella gatta da pelare. La normativa antiriciclaggio addossa agli istituti di credito una buona serie di controlli, e di conseguenza anche di costi. In sostanza, ogni volta che aprono un conto a un nuovo cliente o gli concedono un prestito, devono verificarne l’identità, e eventualmente accertare da dove venga il denaro. Inoltre, devono segnalare all’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia qualunque operazione ritengano sospetta. E rischiano sanzioni pesantissime se sbagliano o effettuano controlli carenti, l’unica attenuante è che le violazioni devono essere “gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime”. La Banca d’Italia spiega a SlotJava che si applica l’art. 62 del d.lgs del 2007, e quindi una “sanzione amministrativa pecuniaria da 30.000 euro a 5.000.000 ovvero pari al dieci per cento del fatturato complessivo annuo, quando tale importo percentuale è superiore a 5.000.000 di euro e il fatturato è disponibile e determinabile”.
Viene da pensare, però, che la normativa sul riciclaggio non riguarda solo il gioco, ma vale qualunque altro settore economico. “Un’impresa che opera nel settore dei giochi non è più onerosa di una che opera nel settore del calcestruzzo”, osserva Germano Arnò, Ceo di Em@ney, un istituto di moneta elettronica. Insomma, se il problema fosse i costi e i controlli, allora le banche dovrebbero rinunciare alla maggior parte dei loro clienti, anche perché ci settori ben più esposti del gioco al rischio riciclaggio. “E comunque, se il vero problema fosse quello dei costi, basterebbe applicare delle commissioni più elevate. È il mercato”. Arnò, invece, punta il dito contro l’immaturità del sistema bancario: “In Italia controllore e soggetti controllati coincidono. È una grande anomalia. Gli azionisti della Banca d’Italia sono i maggiori istituti di credito del Paese, e se adottano una determinata politica di mercato, le altre banche finiscono per seguirle”. E Arnò non si pone problemi a definire una situazione simile come “un cartello di fatto”.
Il problema della chiusura dei conti
Difficile dire quale sia la vera ragione, probabilmente alla fine tutte e tre – le ragioni etiche, la possibilità di scrollarsi un settore scomodo, e l’istinto di seguire la massa – hanno avuto il proprio peso nelle scelte di ogni singola banca. Ma alla fine non è nemmeno questo il problema. Se la stretta sul credito ha avuto conseguenze pesantissime, la chiusura dei conti correnti rischia invece di essere catastrofica. Al momento non è una prassi diffusa, ma se prende piede come è accaduto per i finanziamenti, il settore rischia di saltare. Inutile dire che un’agenzia di scommesse o una sala – come qualunque altra attività commerciale – senza un conto-correte non può operare. In primo luogo non potrebbe riscuotere e effettuare i pagamenti quando superano i limiti fissati dalla normativa antiriclaggio. Ma non solo: pagare gli stipendi ai dipendenti in contanti è vietato per legge, e persino versare un semplice F24 si può trasformare in un’odissea.
La reazione degli operatori e delle istituzioni
Gli operatori sembravano sul punto di rivolgersi a un giudice, già per la questione della stretta al credito. Secondo quanto apprende SlotJava, uno dei concessionari di maggiori dimensioni stava esaminando la questione, più che altro per proteggere la propria rete. Ma poi ha lasciato perdere, comunque per le compagnie grandi il problema è relativo, visto che possono facilmente rivolgersi a delle banche estere. Le agenzie di scommesse e le sale da gioco stavano invece studiando una class action, che ha certamente tempi relativamente lunghi, ma ha il grosso vantaggio di provocare un forte risalto mediatico. Già quello avrebbe potuto smuovere la situazione. Il problema è che – sempre secondo quanto si apprende – il gruppo di sale e agenzie si è assottigliato di giorno in giorno. I pochi rimasti dicono di voler andare avanti lo stesso, ma a quel punto se sono un gruppo troppo ristretto di soggetti, sembra venir meno il senso stesso della class action.
Intanto anche qualche politico si è accorto del problema, e Massimo Mallegni, senatore di FIBP-UDC, una decina di giorni fa ha presentato un’interrogazione a risposta scritta al Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri chiedendo una spiegazione sul comportamento delle banche. Più o meno negli stessi giorni Marcello Minenna, direttore dell’ADM, incontrando i giornalisti a margine della presentazione del Libro Blu ha detto di essere a conoscenza del problema e di voler aprire un tavolo di confronto “con le associazioni di categoria per capire come intervenire”. Minenna però almeno per il momento non sembra intenzionato a confrontarsi con la Banca d’Italia: anche se ha ammesso che Palazzo Koch “ha funzioni di controllo sulla stabilita del sistema finanziario, e quindi anche sull’operato delle banche”. E quindi dovrebbe essere il primo soggetto da interpellare, per capire se le policy delle banche si sono trasformate in qualche modo in un freno per il mercato. Secondo Minenna, però, prima di tutto “quello che bisogna veramente capire è quale processo sta generando delle resistenze”.