Divieto di pubblicità, il Tar salva anche Meta e Facebook
L’AgCom perde ancora contro un colosso del web che aveva provato a multare per aver violato il divieto di pubblicità del gioco. Questa volta nel mirino del Garante delle telecomunicazioni è finita Meta, la compagnia che controlla il papà di tutti i social, Facebook. Anche in questo caso – era già successo qualcosa del genere a Google e Twitch, tanto per fare due nomi – e il problema sono i contenuti pubblicati da alcuni utenti. L’AgCom ha quindi emesso una sanzione pesantissima nei confronti di Facebook – ben 750mila euro – che però adesso il Tar Lazio ha annullato.
Le accuse a Meta
La vicenda risale al 2022, AgCom – nella delibera in cui applica la multa – spiega di aver fatto dei controlli sui contenuti pubblicati sulla piattaforma. E di aver trovato video e immagini promozionali di siti internet, collegamenti ipertestuali e applicazioni che promuovevano siti di gioco.
I nomi delle pagine e dei giochi – Amazing Facts St Lawrence, Patrick Irish Pub, Italy Games, Nine World Riddle, It’s your chance – fanno pensare che si tratti di operatori senza concessione che vogliono farsi conoscere dai giocatori italiani. Il Garante però dà un peso particolare al fatto che gli utenti in questione fossero business, e che quindi pagassero Meta per promuovere i propri contenuti.
Le policy sulle sponsorizzazioni
Ora, Meta in questo caso fa una distinzione tra contenuti vietati (ad esempio quelli “pericolosi” come armi, esplosivi, e prodotti correlati al tabacco) che non possono essere promossi, e contenuti sensibili, ai quali invece si possono applicare delle restrizioni. Il gioco d’azzardo rientra in questa categoria, e il regolamento di Facebook prevede che in questo caso specifico le promozioni “sono consentite solo previa autorizzazione scritta da parte nostra“.
L’AgCom però osserva che nel regolamento – al contrario ad esempio di quanto avviene per gli alcolici – “non viene in alcun modo previsto nemmeno il rispetto di talune leggi regionali (come, ad esempio, in Italia) in cui tale attività è chiaramente vietata”
In sostanza quindi, prosegue il Garante, Meta “assoggetta la diffusione ad una propria previa autorizzazione scritta”, e di conseguenza è “ampiamente edotta dei contenuti sponsorizzati”. E “consente a tutti i propri clienti business di promuovere tali attività sin anche di targettizzate anche per il nostro Paese”. In questo modo “la sponsorizzazione raggiunge un elevato numero di utenti, circostanza che amplifica le conseguenze dell’illecito commesso, aumentandone significativamente la potenzialità lesiva”. L’unico limite è il divieto di puntare a dei minorenni.
Per i giudici però Meta non ha colpe
Il Tar Lazio però vede la questione diversamente. Sottolinea infatti che Meta ha sì adottato un sistema di controllo delle promozioni, ma la verifica avviene in maniera automatica. Quindi attraverso dei software. Solo “in ipotesi residuali e per un numero molto limitato di casi” le promozioni sono sottoposte anche al controllo degli uomini. Secondo i giudici, quindi, la compagnia di Zuckerberg non ha un ruolo attivo in questo caso. Un’ulteriore dimostrazione è il fatto quando Meta interviene, punta “ad impedire – e non ad agevolare (…) – la fruizione dei contenuti”.
Secondo i giudici, quindi “deve escludersi che” Facebook “avesse una conoscenza effettiva dei contenuti illegali (…) ma e che, conseguentemente, avesse la possibilità di attivarsi utilmente” per rimuoverli. Oltretutto, “gli utenti che hanno immesso le inserzioni contestate non avevano ricevuto l’autorizzazione scritta prevista dagli standard pubblicitari”. E in ogni caso non si può presumere che Meta ne fosse a conoscenza per il solo fatto che “gli standard pubblicitari (…) prevedono la “previa autorizzazione scritta”.