Stop alla pubblicità, all’estero imparano dai nostri errori
- L’Italia è stato il primo Paese a vietare completamente la pubblicità del gioco
- Gli operatori si sono sostanzialmente adeguati, finora le violazioni sono poche e di scarso rilievo.
- Ci sono però alcune zone grigie, e secondo alcuni politici e associazioni di consumatori il divieto dovrebbe essere inasprito ancora di più
- Intanto lo stop italiano ha aperto il dibattito anche in altri Paesi, ma nessuno sembra pronto a una formula così rigida
In Italia arrivano le prime sanzioni per gli operatori di gioco che hanno violato il divieto di pubblicità, mentre sempre più Paesi dell’Europa pensano di introdurre misure simili. La nostra esperienza, certamente, ha aperto il dibattito anche altrove, ma non ci prendiamo tutto il merito: fino a oggi tantissimi Stati hanno adottato delle restrizioni, come le fasce protette e lo stop agli slogan troppi aggressivi, senza contare i codici di autoregolamentazione che gli stessi operatori dei giochi si soni dati. Nessuno però aveva completamente vietato la pubblicità del gioco come ha fatto l’Italia, e questo ha sicuramente incoraggiato gli altri a andare oltre. Con prudenza, perché da quello che si può dire al momento gli altri Stati vogliono anche evitare i nostri errori. Soprattutto, non vogliono imporre un bando totale.
Il divieto – che per la cronaca era contenuto nel decreto Dignità del luglio 2018, ma poi è entrato in vigore a tutti gli effetti solo un anno dopo – colpisce infatti qualunque forma di pubblicità diretta o indiretta, quindi i canali televisivi, le radio o i giornali non possono reclamizzare in alcun modo giochi e scommesse. E sono state bloccate anche le sponsorizzazioni: le squadre di calcio italiane in particolare hanno dovuto rinunciare ai lucrosi contratti che avevano siglato negli anni, in totale si parla di una cifra tra i 150 e i 200 milioni di euro l’anno.
La formula contenuta nel Decreto Dignità è rigorosissima. Lì per lì sembrava che le sale da gioco dovessero tirar giù le insegne, o che i giornali non potessero più pubblicare un articolo – anche quelli su un processo in corso, o sull’andamento di un titolo in borsa – se di mezzo c’era un operatore di gioco.
Ma poi, lo stesso decreto chiedeva all’AGCOM, l’autorità garante delle telecomunicazioni, di adottare delle linee guida, per fissare con esattezza il perimetro del divieto. E quando il documento è stato pubblicato in molti hanno storto il naso, accusando il Garante di aver lasciato troppa libertà alle compagnie di gioco. Ad esempio, sono permesse le comunicazioni che hanno un mero carattere informativo, come ad esempio quelle che indicano le caratteristiche di un gioco, le quote, le probabilità di vincita e i jackpot. Fin qui non sembra una cosa così pericolosa. Ma poi ci sono anche altri casi, come le comunicazioni sui bonus, che di per sé sono lecite, ma poi nei fatti hanno portato alle prime sanzioni.
C’è da dire che da subito l’AGCOM si è riservata di rafforzare il divieto, laddove fossero emerse delle falle.
“L’enforcement si realizzerà caso per caso, con opportune correzioni di tiro, e si definirà in progress, in base alle segnalazioni che arriveranno all’Agcom e che ci aiuteranno a definire categorie di casi sempre più tipizzate”, ha spiegato uno dei commissari, Antonio Nicita, nel corso di un’intervista al magazine Vita.it.
Ma a quanto pare non basta: chi è favorevole al bando continua a criticare aspramente l’AGCOM, a iniziare da Luigi di Maio, ex leader del Movimento5Stelle che ha legato indissolubilmente il proprio nome al decreto Dignità. “L’AGCOM ha fatto un parere che ha lasciato un po’ di spazio. Adesso dovremo rinnovare i vertici AGCOM”, ha detto nemmeno due mesi fa. Parole che suonano un po’ come un editto bulgaro, soprattutto perché stiamo parlando di un’autorità indipendente. Tanto che lo stesso Di Maio ha cercato di chiarire: “A me non interessa mettere gli amici degli amici, è importante che vadano persone all’AGCOM che dicano che la legge che vieta la pubblicità sul gioco d’azzardo in Italia deve essere rispettata da tutti”. Ora, Di Maio non ha mai chiarito quali siano questi spazi di troppo, e non è facile capire a cosa si riferisse in concreto.
Remigio del Grosso – presidente dell’associazione dei consumatori Adusbef e componente del Consiglio Nazionale degli Utenti, organo consultivo dell’AGCOM – si è invece scagliato più volte contro dei cartelloni pubblicitari presenti negli stadi.
Raffigurano dei domini internet simili a quelli degli operatori di gioco, i siti però non contengono nessun prodotto di gioco, ma semplici statistiche, filmati, curiosità. Non si scommette e i siti delle scommesse non sono immediatamente raggiungibili, anche se le informazioni possono essere molto utili a chi vuole piazzare una puntata. Ma c’è il brand, che non è quello dell’operatore, ma di certo lo ricorda a chi già lo conosce.
Che poi sembra una strategia simile a quella che adottarono decenni fa alcune multinazionali del tabacco: colpite da un analogo divieto sulla pubblicità, lanciarono delle linee di abbigliamento. L’AGCOM comunque al momento non ha detto nulla su quei cartelloni. Il che potrebbe significare che questo tipo di comunicazione non desta preoccupazioni. O al contrario, che dovrebbe essere vietato, ma le attuali linee guida non consentono di sanzionalo. Le infrazioni accertate invece sono pochissime, si contano sulle dita di una mano.
Per quanto è emerso finora uno o due bookmaker hanno pubblicizzato con troppa enfasi dei bonus sul proprio sito. Verrebbe da dire che siano sono casi piuttosto marginali, e difatti, l’AGCOM ha applicato la sanzione minima, che è di 50mila euro.
Per la cronaca, comunque, il Parlamento sarà impegnato proprio in questi giorni a approvare le nuove nomine di cui parlava Di Maio, la palla quindi passerà con ogni probabilità ai nuovi vertici.
Le compagnie del settore, dal canto loro, ritengono che la norma sia già adesso severissima, e sottolineano che qualunque forma di pubblicità sia sparita. Con la conseguenza che è impossibile distinguere il mercato legale da quello illegale. In effetti bisogna dire che pochi mesi prima che il Governo varasse il divieto, si è svolta la gara per il gioco online, e per la prima volta si sono aggiudicati la concessione anche delle compagnie che fino a quel momento operavano solo all’estero. Alcune però sono rimaste per diversi mesi inattive, proprio perché senza pubblicità non sapevano come farsi conoscere.
Da quando l’Italia ha adottato il divieto, non si può fare a meno di notare che in diversi Paesi si sia aperto un dibattito. Se ne parla persino in Gran Bretagna, la patria del gambling, dove il Governo ha in programma di rivedere la legge del 2005 che regola il settore. Per ora si discute soprattutto del legame tra sport e giochi slot machine e casinò, e Brigid Simmonds, presidente dell’associazione Betting and Gaming Council, nel corso di un’audizione parlamentare si è detta “pienamente favorevole” a aprire un confronto per ridurre la pubblicità che ruota attorno ai match. Sulla questione è intervenuto anche il neo presidente della Premier League Richard Masters. Pur chiedendo maggiori regole, ha respinto l’idea di un blocco delle sponsorizzazioni: “Non credo sia la soluzione”. In sostanza, secondo Masters, i club di calcio dovrebbero essere liberi di decidere se avere come sponsor una compagnia di gioco. E sotto questo profilo, bisogna ricordare che tra prima e seconda divisione, sono ben 25 le squadre di calcio che hanno siglato un contratto con un bookmaker. Ma anche che l’Everton ha deciso in questi giorni di rescindere anticipatamente il contratto con SportPesa, proprio per questioni di immagine.
Simile il dibattito che si è aperto in Belgio, dove secondo l’ente regolatore dei giochi una stretta sulle sponsorizzazioni non avrebbe effetti così catastrofici. E lì, su 18 squadre della prima divisione, 14 hanno partnership con operatori del settore. Lavori in corso nei Paesi Bassi dove si vogliono ampliare le fasce orarie, il Parlamento Bulgaro al contrario ha bocciato un disegno di legge per vietare la pubblicità del gioco.
Il Paese che forse ha accelerato maggiormente è la Spagna: il ministro per la tutela dei consumatori Alberto Garzón ha infatti annunciato un pacchetto di norme che metterà fuori legge l’80% delle pubblicità del gioco che vengono trasmesse oggi.
I bookmaker potranno ancora sponsorizzare i club sportivi, ma non potranno fare pubblicità negli stadi, né tantomeno acquisire i diritti per la denominazione dell’impianto. Gli spot in tv e radio verranno trasmessi solo in una fascia di 4 ore, a partire dall’1 di notte. Ma potranno andare in onda nel corso di eventi sportivi (dalle 8 di sera in poi) purché non incitino eccessivamente al gioco. Vietati infine i testimonial famosi. Una regolamentazione severa, insomma, ma non un divieto assoluto. E qui forse sta la vera differenza con l’Italia: Garzón è il primo a ammettere che un blocco totale “Spingerebbe quelle persone che hanno bisogno di protezione verso gli operatori illegali, che non assicurano alcuna tutela”