Djokovic presenta il conto alle scommesse
Novak Djokovic chiede che i giocatori di tennis percepiscano una parte dei ricavi delle scommesse piazzate sui tornei. Ma in realtà sembra scagliarsi contro gli organizzatori dei tornei, in sostanza il campione chiede di correggere una palese contraddizione nelle norme sulle sponsorizzazioni. I tennisti infatti non possono stringere contratti del genere con compagnie del betting, ma sugli organizzatori dei tornei non ricade alcun divieto. Queste sponsorizzazioni fruttano somme cospicue, ma agli atleti arriva solo qualche briciola.
Novak vuole dividere a metà
Come spiega il numero uno dell’ATP in un’intervista a due voci – rilasciata insieme al direttore esecutivo della Professional Tennis Players Association, Ahmad Nassar – il divieto per i giocatori di tennis risale a una ventina di anni fa ed è dettato dal timore che l’integrità dello sport possa essere messa a rischio. Un obiettivo con cui Djokovic si dice “pienamente d’accordo”. Ma poi il campione sottolinea che è solo l’aspetto superficiale della questione.
Djokovic spiega infatti che gli organizzatori dei tornei di tennis stringono sempre dei contratti con gli operatori del betting. A volte si tratta di normali sponsorizzazioni, altre invece di raccolta di dati e statistiche. “Le scommesse esistono, e i bookmaker guadagnano centinaia di milioni, forse miliardi grazie al tennis” dice il campione. “Ci sono interessi enormi, e ci sono degli interessi collaterali di cui beneficia anche il mondo del tennis. Ma ai giocatori va una quota minima di questo soldi”. E invece quei denari dovrebbero essere divisi in maniera equa, Novak lo dice chiaramente: metà e metà.
Negli altri sport, patti chiari
“In ogni altro sport – rincara la dose Nassar – se all’interno dello stadio c’è una sponsorizzazione da parte di una compagnia di betting, ogni giocatore percepirà una quota dei ricavi. E questo a prescindere dal fatto che il singolo atleta possa o meno stipulare un contratto direttamente con il bookmaker. Nel tennis tutto questo non avviene, i giocatori non hanno diritto a questa quota e non possono mettere il logo di un bookmaker sulla maglia, appunto perché è vietato. Per loro è frustrante”.
“Personalmente non siglerei un contratto del genere – aggiunge ancora Djokovic – ma credo che il 95% dei miei colleghi lo farebbe, e sostengo questo loro diritto”. Ma per il giocatore, il problema principale è che i suoi colleghi “non si rendono esattamente conto che probabilmente alcune delle maggiori fonti di ricavi per il settore siano i diritti televisivi, le statistiche e le scommesse. Gli atleti, in questo caso danno molto più di quello che ricevono, anche perché non stanno ricevendo quasi nulla. E invece offrono il proprio nome che viene rilanciato da svariate piattaforme di scommesse”.
Servono 20 anni per incassare quei soldi
In realtà una parte di questi soldi, i tennisti professionisti la incassano. Finisce in un fondo pensione, e quindi servono a garantire una vecchiaia serena ai giocatori. Cosa che però secondo il numero uno dell’ATP suona quasi canzonatoria: “I tennisti solitamente smettono di giocare attorno ai 35 anni, ma maturano i requisiti per accedere a quel fondo a 55. Quindi, devono attendere qualcosa come 20 anni per vedere quei soldi”.