Per il betting exchange il Tar stoppa la tassa Salva Sport
- Il Tar Lazio sospende la tassa che serve a alimentare il Fondo Salva Sport
- La pronuncia riguarda però il solo betting exchange, e per il momento durerà fino al 2 dicembre. Il Tar poi dovrà decidere se confermare il provvedimento o farlo cadere
- Il problema però resta per le scommesse sportive e anche per quelle ippiche, che in realtà non dovevano essere assoggettate al prelievo
Si apre una prima crepa nel Fondo Salva Sport, il Presidente della Seconda Sezione del Tar Lazio ha infatti congelato – momentaneamente, per il momento fino al 2 dicembre, ma poi si vedrà – il pagamento della prima rata. Che per la cronaca sarebbe scaduta il 30 novembre. Lo stop non riguarda tutte le scommesse, ma il solo betting exchange; e anzi per la verità è stato Betfair a ottenere il decreto cautelare – l’altro bookmaker che opera nel settore, Betflag, al momento non si è costituito in giudizio – ma anche se fosse l’unico a beneficiarne, praticamente rappresenta la quasi totalità del segmento.
Bisogna subito dire però che questo decreto cautelare è una vittoria da prendere con le pinze, alla fine potrebbe ridursi a un mero rinvio del pagamento di un paio di giorni. Il 2 dicembre si terrà una nuova udienza – non di fronte al solo Presidente, ma con tutto il Collegio e in pieno contraddittorio con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – e giudici decideranno se confermare o meno la sospensione della tassa, fino alla sentenza. In ogni caso, già il decreto dei giorni scorsi è un segnale forte. Anche perché a beneficiarne sono direttamente i giocatori, visto che – nel caso delle scommesse punta e banca – sarebbero stati loro a pagare il nuovo balzello.
La tassa è stata creata con il Decreto Rilancio nella scorsa primavera, dovrà garantire 50 milioni di euro l’anno e servirà a limitare l’impatto che la crisi economica sta avendo sul mondo dello sport. In sostanza questi soldi vengono girati dalla Presidenza del Consiglio all’Ufficio per lo sport che poi deciderà quali “misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo” finanziare. Un obiettivo nobilissimo, il problema però è che per alimentare il Fondo è stata addossata al settore delle scommesse una nuova tassa, l’importo viene fissato allo 0,5% delle giocate raccolte. Bisogna considerare che i bookmaker non navigavano nell’oro nemmeno prima, e poi è arrivata la crisi innescata dal Covid che ha colpito anche loro. La rete a terra in particolare ha dovuto scontare alcuni mesi di chiusura, nel corso dei quali ha inevitabilmente ridotto le attività – secondo gli ultimi dati ADM tra gennaio e ottobre ha perso il 13,9% dei ricavi – pur continuando a pagare le spese ordinarie, come gli affitti.
Nel caso delle scommesse normali, la nuova tassa è decisamente inopportuna (in un periodo come questo sarebbero servite misure decise per sostenere la ripresa, non certo un nuovo balzello), ma comunque stiamo parlando di cifre inferiori ai ricavi lordi che gli operatori incassano. Il caso del betting exchange però è un totalmente diverso, queste scommesse sono molto particolari, se le scambiano direttamente i giocatori tra di loro, mentre gli operatori si limitano a mettere a disposizione la piattaforma tecnologica. Al contrario dei bookmaker, non assumono alcun rischio, non pagano la scommessa vincente, e quindi si limitano a percepire una mera commissione, che è anche piuttosto contenuta. E il problema è che l’importo della tassa avrebbe superato la commissione. Il primo a lanciare l’allarme è stato il Sole24Ore, facendo un calcolo molto tecnico. Per semplificare la questione basta prendere come esempio i dati del Libro Blu del 2019, il punta e banca ha una base imponibile di 1 miliardo e 693 milioni di euro (bisogna sottrarre il gettito ordinario dalla raccolta lorda). La Tassa del Salva Sport sarebbe stata quindi di circa 8,5 milioni. Gli operatori però ne hanno incassati 7. Già senza togliere tutti i costi di gestione e le spese varie, ci avrebbero rimesso dei soldi di tasca propria.
Ora, è chiaro che gli operatori hanno la possibilità di applicare una commissione maggiore ai giocatori, di modo da aumentare i ricavi e recuperare il peso della tassa. Tecnicamente è possibile, occorre solo vedere come reagisce il giocatore, che alla fine è quello che rimane con il cerino acceso in mano. E – nel caso delle scommesse peer to peer, quindi di un prodotto che viene offerto online – non è da escludere che gli utenti se ne vadano in massa su piattaforme estere, per quanto il numero sia estremamente ridotto in qualunque parte del mondo.
Comunque, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha provato a metterci una toppa con il decreto di settembre in cui definiva le modalità per versare la tassa e le scadenze. Ha infatti stabilito che, nel solo caso del betting exchange, la tassa debba essere versata non dagli operatori, ma direttamente dai giocatori. Le compagnie però devono occuparsi di raccogliere le risorse, prelevandole direttamente dai conti di gioco di quelli che hanno vinto le scommesse. Una sorta di prelievo forzoso, insomma. E se l’utente poi ha perso una serie di altre scommesse e ha il conto a zero, o lo ha proprio chiuso del tutto, la compagnia gli deve mandare il modello F24 a casa, già compilato.
Nel caso del peer to peer, ci vorrà un annetto perché il Tar emetta sentenza. Nel caso delle scommesse sportive normali e di quelle ippiche – che peraltro non dovevano essere assoggettate alla tassa, visto che il decreto Rilancio nomina solo le sportive e le virtuali – invece occorrerà attendere gli ulteriori sviluppi. Alcuni bookmaker in realtà si sono già mossi da tempo, anche perché formalmente – per questi prodotti – sono loro a dover pagare la tassa, ma per il momento hanno solo depositato i ricorsi, senza portarli avanti. Anche qui però c’è la possibilità di scaricare il peso sul giocatore, alla fine basta abbassare un po’ le quote per assicurarsi un margine superiore.